Vai al contenuto

NESSUNO TOCCHI MONTANELLI

18/06/2020

Contestualizzare e storicizzare. Questo è ciò che chiunque dovrebbe fare di fronte a un fatto del passato. Che può essere bello o brutto, accettabile o meno ma, in quanto passato, va inserito nel contesto in cui si è sviluppato (questa è in sostanza la definizione di contestualizzare) e quindi storicizzato (cioè concepito come processo storico).
Dopo queste operazioni, ci si troverà sicuramente di fronte a situazioni diverse dall’attuale e molto probabilmente oggi non più accettabili.
Purtroppo raramente si adotta questo tipo di approccio, cosa che di fatto falsa la lettura di questo o quell’evento; se poi quest’ultimo lo si strumentalizza, spesso in malafede, per perseguire altri obbiettivi, non solo si amplifica il danno ma si distorce la realtà.

La statua dedicata a Indro Montanelli a Milano

La statua dedicata a Indro Montanelli a Milano

E’ il caso di Indro Montanelli, maestro del giornalismo italiano e autore di pubblicazioni storiche di grande importanza.
Per chi, come il sottoscritto, lo ha sempre seguito (pur non condividendo le “posizioni politiche” dell’ultimo periodo), rischiando anche, in tempi che chi oggi lo critica nemmeno ricorda o conosce, a girare per le strade con una copia de Il Giornale sotto il braccio, vederlo descritto come “antidemocratico, fascista, razzista, suprematista, machista, stupratore, pedofilo, assassino, mentitore” e via elencando è cosa a dir poco inaccettabile.
Nel merito, è vero, Montanelli, nel 1935 partecipò alla guerra d’Etiopia, e fu, col grado di sottotenente, al comando di un battaglione coloniale di àscari (eritrei inquadrati come militari regolari nelle forze coloniali italiane in Africa).
Fu allora che, secondo gli usi e i costumi del tempo e di quei luoghi, comprò e sposò una ragazzina eritrea, che restò con lui fino al termine della guerra.
Montanelli ai tempi aveva 25 anni, Destà (questo il nome della ragazzina) ne aveva 12 (14 in altre versioni).
Ora, Montanelli non ha mai negato la cosa, anzi, il fatto è noto perché fu lui stesso a parlarne, in più occasioni, precisando che “quella era la realtà ai tempi in Abissinia”.
Una terra dove, ancora nel 1935, le donne si sposavano a 12 anni (a 16, se non l’avevano ancora fatto, venivano “viste male”) e procreavano molto presto visto che l’aspettativa media di vita era di circa quarant’anni.

Elvira Banotti e Indro Montanelli

A sinistra, Elvira Banotti, a destra Indro Montanelli

Una situazione che anche la giornalista e attivista femminista Elvira Banotti (che nel 1969, nella trasmissione televisiva “L’ora della verità”, lo accusò pubblicamente di aver “violentato questa ragazzina”) certo conosceva, visto che era nata in Eritrea dove suo nonno aveva sposato una donna del posto. Montanelli rispose che non c’era stata proprio alcuna violenza, tant’è che Destà, poi andata in sposa al suo “bulukbashi” (l’assistente militare di grado più elevato), al primo dei suoi tre figli, nato due anni dopo, diede il nome di Indro.
Tutto ciò premesso, che senso ha oggi condannare Montanelli e imbrattare la sua statua dimenticando (o facendo finta di non ricordare o, ancor peggio, “sfruttando l’occasione per …”) ciò che lui è stato per un fatto che, come detto più sopra, è certo da contestualizzare e storicizzare?

 

Lascia un commento

Lascia un commento